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"Nel gennaio del 2005, Emiliano Morrone mi spedì per e-mail una lettera aperta pubblicata sul suo giornale, la Voce di Fiore. Con questa, appoggiato da giovani, mi proponeva come candidato sindaco nella città di Gioacchino da Fiore, dove nel 2004 ero stato per un congresso internazionale sull'abate."

Con qualche perplessità, accettai, certo che non avremmo vinto ma che un po’ di movimento avrebbe aperto degli spazi politici.

Soprattutto, mi intrigava il progetto, costruito dal basso e da giovani – non tutti. Mi appassionai sempre di più in campagna elettorale, nonostante un primo scetticismo dovuto all’esperienza.

Mio padre era calabrese, di Cetraro, dove io stesso ho passato gli anni della guerra, restando segnato dal dialetto e dalle amicizie di là. Parlamentare europeo, la politica dei partiti e l’evoluzione del sistema italiano mi avevano fornito un’idea precisa dei contenuti e delle possibilità in gioco, sotto elezioni e dopo.

Avevo avuto modo di confrontarmi con questo gruppo di giovani: li conoscevo, non rappresentavano un partito, si lasciavano guidare dalla passione, dai loro «eroici furori». Finito il mio intervento al congresso gioachimita, c’eravamo incontrati per parlare di «filosofia ed emancipazione». C’era anche un prete missionario, don Battista Cimino. Eravamo in un salone dei padri francescani, i ragazzi reattivi, attivi e decisi. Mi sembrava che ci fosse un terreno buono per seminare qualche speranza.

In Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso, avevo parlato a lungo di Gioacchino da Fiore, affascinato dalla «sua idea del carattere essenzialmente storico della salvezza».

I miei sostenitori raccontavano del degrado della sua città, San Giovanni in Fiore. Facevano analisi puntuali e interessanti. Era un gruppo robusto: cognizione, acume, coraggio, chiarezza. Non riuscivano a sopportare le politiche clientelari e le logiche mafiose della zona. Erano coscienti. Mi spiegarono che alcuni “traffici” locali avevano a che fare con importanti decisioni a livello regionale. Definirono San Giovanni in Fiore – oasi di assistiti dallo Stato e «fabbrica di emigranti» – come «riserva di consensi elettorali decisivi».

La società sparente

La società sparente

La società sparente

Tra di loro, Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio avevano raccolto dati e indizi su numerose anomalie e irregolarità nel posto. Tramite Internet, i due avevano iniziato una battaglia per l’emancipazione dei residenti, con una serie di basi teoriche non banali. Si riferivano al «pensiero debole» e, con vari collegamenti all’opera di Gioacchino, mi consideravano una figura idonea a promuovere con loro una trasformazione culturale del luogo.

Con don Cimino, avevano sviluppato un discorso, anche teorico, sullo sfruttamento dei paesi poveri in condizioni di minorità, mettendo in mezzo Teologia della Liberazione, Hans Jonas, Robert Young e altri. Su la Voce di Fiore, avevano approfondito intervistando il collega Alfonso Iacono, molto attento al tema dell’«uscita dalla minorità». Insomma, avevano provato a isolare le ragioni del successo della Ndrangheta nel territorio, tentandone una lettura d’insieme.

Oltretutto, avevano concepito l’alternativa, radicale. Suggestionati dall’utopia della giustizia di Gioacchino, da tempo teorizzavano il superamento dell’immobilismo locale con la creatività, la poesia e il culto della bellezza. Morrone e Alessio avevano studiato, in particolare, le cause dell’emigrazione di oggi, rapportandole a quelle del passato. Si erano basati su alcuni scritti di testimoni diretti della diaspora, lo psichiatra Salvatore Inglese e la scrittrice Anna Paletta Zurzolo. Il primo ne aveva descritto gli effetti sulla psiche dei residenti, spezzati i legami affettivi coi parenti emigrati. La Paletta Zurzolo aveva narrato la sua infanzia a San Giovanni in Fiore, vista da adulta canadese.

Morrone e Alessio avevano quindi ripreso la materia, con la tendenza a recuperare – ma non in senso identitaristico – il patrimonio culturale della tradizione. Sgretolato, come i significati storici e politici dell’emigrazione, da una classe politica autoreferenziale e molto spesso cinica.

Con pochi mezzi, grazie alla rete e a un forte senso critico, avevano divulgato le loro ricostruzioni – antropologiche, sociologiche e filosofico-politiche – della situazione locale, del «dominio mafioso delle coscienze». Erano riusciti a creare dei link con il contesto globale, utilizzando Internet come veicolo di denuncia e cassa di risonanza.



A San Giovanni in Fiore tutto è sorprendentemente tranquillo. Rispetto alle immagini di sangue della Ndrangheta, c’è in apparenza solo una desolante immobilità. I rapporti professionali sono condizionati dall’amicizia – che non ha affinità con quella di Cicerone nel Laelius De amicitia.

Nell’amministrazione pubblica, i sistemi della diretta conoscenza e della consegna brevi manu costituiscono la regola. C’è sempre un rapporto personale fra Stato e cittadino, Stato e utente. In un ambiente così piccolo e marginale, un osservatore esterno potrebbe concludere che non ci sono fatti di interesse generale.

Nella mia breve esperienza a San Giovanni in Fiore, ho verificato che anche – e proprio – sull’espressione del voto c’è stretta vigilanza, imposizione. Esiste il modo di obbligare l’elettore a votare un particolare candidato. È un fatto di minacce sottili, difficili da dimostrare, di favori, diritti concessi per intercessione.

La mia vicenda politica a San Giovanni in Fiore servì a riprendere gli animi di tanti, stanchi di subire, e non si esaurì nella sconfitta elettorale.

Questo saggio di Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio, dal curioso titolo La società sparente, evocazione del mio testo La società trasparente, nasce dalla stessa esigenza che li portò a costruire quei link di cui ho scritto sopra. Assieme, hanno a lungo sperimentato la potenza di Internet, di cui si sono largamente serviti allo scopo di creare spazi culturali e politici per l’emancipazione dalla Ndrangheta.

Per entrambi, l’«onorata società», come chiamano l’organizzazione mafiosa calabrese, non è solo una struttura – o uno Stato – che si muove contro la legge, sostituendola con la volontà di una «cupola». La Ndrangheta è, secondo Morrone e Alessio, un modo di pensare e agire, un atteggiamento proprio del calabrese, che la proietta come una sorta di mito, di ierofania.

San Giovanni in Fiore

Architectura mediterranea

San Giovanni in Fiore

San Giovanni in Fiore

Il loro libro è un viaggio all’interno dei complessi meccanismi della politica locale, causa della facile e continua espansione della Ndrangheta. È un racconto di fuga dalla terra d’origine. Morrone, giornalista, è scappato dalla Calabria con la speranza di riuscire, da fuori, a raffinare l’indagine sui rapporti fra politica e Ndrangheta limitandone la carica oncogena.

Alessio aveva adottato una strana forma di fuga, prima di andarsene definitivamente in Germania. Viveva in rete, pur abitando a San Giovanni in Fiore, isolato da tutti. A riguardo, c’è un suo articolo, molto intenso, in parte inserito nel presente volume. Si intitola Per un’ermeneutica del web. Un’escatologia florense contemporanea. In questo scritto, Alessio rende conto dell’isolamento personale, subìto e voluto ad un tempo. E parla della rivoluzione rappresentata da Internet, tanto per la propria sopravvivenza, quanto per la battaglia politica intrapresa, finalizzata all’emancipazione collettiva.

Al centro di La società sparente è il fenomeno migratorio, tipico del Mezzogiorno, addebitato dagli autori a un preciso progetto politico, reperibile nella storia di San Giovanni in Fiore e della Calabria. In altri termini, l’emigrazione è qui considerata anche come soluzione per la difesa della (propria) libertà di opinione e della dignità personale. Se la ripartizione delle terre in Sila, l’autonomia dei contadini e l’occupazione delle masse furono la giusta meta dell’azione dei partiti, a un certo punto i loro ideali di sostegno della povertà e delle famiglie si usarono strumentalmente per la scellerata propagazione d’un assistenzialismo devastante. La fuga dalla propria terra, la fuga dalla Calabria, non ha impedito agli autori la prosecuzione della loro impresa, spesso vissuta come missione.

Nel libro, la retorica è accuratamente cassata, a vantaggio d’una coraggiosa esposizione, che, oltre a contenere nomi e vicende legati al malaffare calabrese, ne è una spiegazione causale. Il punto di vista di Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio non è viziato dal bisogno di dimostrare qualcosa. Non ha, cioè, quelle finalità politiche di certa informazione nazionale.

Il loro lavoro si pone, quindi, come riferimento per una rilettura dell’emigrazione calabrese e meridionale. La Calabria, nonostante il progresso economico e i soldi ricevuti dall’Unione Europea, si sta spopolando paurosamente. Oggi, come ieri, l’emigrazione produce il vuoto politico. Dunque, l’auspicio è che, anche grazie al dibattito e ai collegamenti su Internet, sia proprio un rientro generale, dopo la «fuga», a produrre un'azione, effettiva ed efficace, contro la Ndrangheta.




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